Appuntamento con la vita

D’improvviso si diffuse nell’aria un profumo d’incenso,  rapido si divulgò nell’intero il corridoio fin anche all'interno delle cabine, nessuna scia nell’aria lasciava intuire cosa lo stesse procurando. Mi guardai intorno, ebbi l’impressione che ad avvertirlo, al solito fossi l’unica: - story of my life pt 124859 pensai - , poi richiusi gli occhi e cercai di rilassarmi lasciandomi dolcemente scivolare lungo il sedile e ripresi la playlist dall’ultima pausa.
Ancòra! - pensai infastidita. Ne ero certa, non era una sensazione, ora opulento si insidiava nelle mie narici, fastidioso, provocante. Iniziavo ad averne abbastanza, quell’aroma mi disturbava, mi convinsi fosse un richiamo, e,  all’annuncio della successiva fermata, fidandomi di tali considerazioni tolsi gli auricolari, li gettai in borsa e decisi di scendere.  
Appena fuori dalla stazione un tramonto accolse il mio arrivo, ossigenai i polmoni, poi ricordo un’interminabile, quasi onirica scala a chiocciola indecisa se apparire o svanire poco dopo, sbarrai gli occhi e mi sedetti su di una panchina – immaginai di dover essere veramente stanca.
Si dice che quando l’ora è ormai volta al suo giungere e l’incompiuto accaduto, non rimanga che l’ultima tappa, la scalinata delle memorie. Non la si cerca, né la si potrebbe cercare, non è un luogo, ma una presenza che ti ritrovi accanto quando meno ci credi, e, gradino dopo gradino, con lucidità e critica, sul rebus oramai completo di quel che è stata la tua vita, l’attraversi con consapevolezza un passo alla volta fino alla cima risvegliandoti sulla botola di un nuovo mondo. 
Per qualche bizzarra ragione mi ritrovai lì, ai piedi della mia vita, al momento della fatturazione, dopo un estenuante viaggio verso casa. Adesso ne avevo conferma: quell’incenso mi avvertiva di sostare lì e io su quella panchina ero destinata a trattenermi per sempre.
Da seduta sentivo qualcosa staccarsi da me, volsi lo sguardo, l’immagine della scala era diventata nitida ed io, senza neppure accorgermene  mi ero ritrovata ferma al primo gradino, poi apparve Yehuiah il mio angelo protettore, mi porse la mano e insieme, capitolo dopo capitolo ripercorremmo tutto.
Guardavo con stupore la creatura meravigliosa che fosse, tutto ciò che sapevo di lui lo sentivo da dentro, tra noi alcuna conversazione. Quando ebbi la percezione di percorrere la metà dei gradini, gli chiesi una sosta e mi fermai ad osservare meglio la mia vita da vicino rimuginando su quanto a volte esser giovani voglia significare totale ingenuità.
Incappai in uno strano ricordo di quattro lettere, un regista avrebbe sicuramente tagliato quella scena. 

A volte nella vita si corre impavidi nel bruciare le tappe, come se uno spazietto temporaneo dentro a un rebus possa dare fastidio.
Così talvolta si finisce per infilarci dentro la parola sbagliata e il più delle volte si corre a voler rimediare tentando di tagliare le scene, sovrapponendoci adesivi, testi o addirittura persone. L’errore è pensare di potere cancellare il ricordo, senza sapere che questo, indelebile ti accompagna fino alla fine.
Quel vuoto avrei dovuto colmarlo con gli anni, non richiedeva alcuna corsa, alcun affanno, alcuna scadenza e  invece ricordo di aver afferrato una parola, quella che più mi piaceva e di averla inserita dentro quegli spazi.
Questo è un ricordo che non avrei voluto rivivere, accidenti.  
Proseguimmo, sentivo il calore della sua mano stringere forte la mia, all’improvviso una finestra spalancata apparve inaspettata sotto al nostro sguardo dando a ripetizione le immagini di uno spettacolo violento.
Gridai, era lui! Adesso potevo distintamente udire la sua voce, lui che aveva rovesciato la clessidra del mio futuro, sentivo ancora le sue mani addosso. Stavo soffrendo, il mio custode allargò le braccia e mi sostenne.
Eccolo un altro ricordo da sforbiciare avidamente: ero lì, quella ero io! Stavo percorrendo via Etnea, quando Bea mi invitò a leggere una richiesta di messaggio che a suo dire mi riguardava. Reagii male, mi si rivoltò lo stomaco e mi trattenni lì in Stesicoro ordinando una fetta di torta che divorai nervosamente.
Quando quel giorno il demonio bussò alla mia porta lasciandomi tremante, le sue parole mi sembravano chiare, un saluto da recapitare che suonava come una minaccia incombente - ti tengo d’occhio.
Quella sera un angelo volle donarmi il sorriso, fece apparire per qualche istante Alvie, poi se lo riportò con sé, preda ad un vortice di emozioni ci bevvi su: la mia Gaza, la spensieratezza, il mio uomo poesia e l’angoscia. E poi l’incontro, i lividi, lo sconforto.
Se solo quel venerdì avessi saputo di star vivendo l’inizio della mia fine…
Alla visione di quell’obbrobrio Yehuiah mi abbracciò ed io lo supplicai di portarmi a vedere il cielo.
Mi voltai un’ultima volta, stavo ancora accasciata su quella panchina, pensavo a quanto fosse bello poter rivedere Alvie lì, al mio fianco con quei suoi occhi di luce nel mio ultimo giorno.

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